venerdì 27 dicembre 2013

Il problema del male: il paradosso di Epicuro




Intanto ci poniamo un primo quesito: come e perché il male è un problema. Da millenni l’uomo si interroga anzitutto su chi è e poi sul perché la sua esistenza è condotta all’interno di un mondo caratterizzato moralmente. La connotazione morale risiede nel fatto che da una parte esiste il Bene, che non può essere definito in altro modo se non per quello che è e per il fatto di essere tale e non in altro modo, dall’altra il male, che nella maggior parte dei casi l’uomo ha considerato un’assenza. Il primo passo è quindi la “problematizzazione” del male, il rendere questo argomento un problema, circostanza che discende inevitabilmente dal fatto che ad esso si accompagna la sofferenza. Epicuro pose un paradosso arcinoto, che però non convince nella sua formulazione base, essendo probabilmente fondato su un equivoco. In effetti, c’è chi mette in contraddizione l’onnipotenza di Dio con l’esistenza del male. Tommaso d’Aquino cercò di risolvere la questione, invocando la “gloria” di Dio come parametro decisivo per giustificare sia la salvezza delle anime, sia la loro eventuale perdizione, ma c’è chi non fu convinto da questo argomento, anche se nel Vangelo di Giovanni viene indicato in effetti come scopo dell’universo. La storia occidentale concepisce il male come assenza di essere, almeno dai primi Padri della Chiesa (pensiamo ad Origene). Tuttavia, qualcuno (cfr. Cacciari) ha messo in discussione l’impostazione, mettendo in discussione anzitutto il concetto di “essere”. La linguistica ha individuato alcune civiltà e alcune lingue in cui non esiste questo verbo, e in Occidente è stato anche ritenuto un verbo talmente generico, da assommare varie esperienze e fenomenologie (tra cui il divenire, il nascere, il sussistere, l’esistere, il semplice essere). E dunque, un primo problema legato al male non può che essere la discussione sulla natura stessa di ciò che dovrebbe essergli contrapposto, cioè l’essere/bene. Il Bene, tuttavia, nel cristianesimo occidentale, è Dio stesso, che è Bene assoluto. Bisogna ragionare su questo fenomeno, secondo cui anzitutto si pone un problema relativamente all’essere “morale” dell’uomo, in secondo luogo, dimenticandosi della possibilità di definire il Bene, circostanza impossibile, di definire il male e il motivo finale secondo cui la creazione è caratterizzata da questo fattore di disturbo. Nella teologia molte sono le risposte, ma nessuno può arrivare ad una conclusione definitiva. Ora, l’aspetto su cui merita soffermarsi è proprio quello del paradosso di Epicuro. In esso si contrappone una serie di caratteri presunti di Dio all’esistenza del male nel mondo, considerando questi fattori come incompatibili dal punto di vista logico. In questo senso, quindi, l’errore è rappresentato dal fatto che l’illogicità di accettare una compresenza di questo tipo è definita sulla base di un parametro di giudizio che neppure Epicuro può spiegare: perché esiste la logica di un discorso, perché l’illogicità di un altro discorso, come mai la logica dovrebbe prevalere nel terreno dei valori, come superiorità. Il problema, quindi, non è mai stato risolto nemmeno problematizzandolo. Nel momento in cui si sostiene che Dio non potrebbe essere onnipotente, in quanto se così fosse avrebbe creato l’uomo senza la possibilità che egli peccasse e si allontanasse, si compie l’errore di partire dal presupposto che Dio dovrebbe agire in modo “logico”, senza peraltro spiegare come mai e il motivo, visto che non si parte da alcuna connotazione morale. D’altronde, è evidente che nessun uomo, neppure un ateo convinto, è in grado di definire il motivo per cui molte sue azioni sono “moralmente connotate”, cioè tendono al Bene, cioè tendono a qualcosa che dovrebbe essere “un più”, un “superiore”, un “positivo”. Chiunque voglia addentrarsi in questo argomento della teodicea, finisce per trovare dei sinonimi semantici, ma aggira solo l’ostacolo, perché non sa spiegare cos’è il Bene e conseguentemente perché l’uomo è connotato dal Bene e perché quindi esiste il male, sia esso inteso come assenza, come polo negativo, o in altro modo. Senza contare poi l’intera tematica relativa all’evoluzione dell’uomo in una direzione sempre più moralmente connotata, a partire dal problema della soglia umana e della definizione di “progettualità”, fino ad arrivare all’uomo “religioso”. Ora, sembra si possa dire che in mezzo, tra gli estremi, non ci sia propria nulla. Tra l’onnipotenza di Dio e la libertà dell’uomo, non ci sono elementi ulteriori, nel senso che coloro che sostengono che Dio non è onnipotente, perché avrebbe potuto creare un uomo libero di sbagliare “senza incorrere” in alcuna conseguenza negativa, errano. Forse si dovrebbe dire, invece, che così facendo si concepisce un Dio “illogico”, capace di creare un uomo e poi contraddirsi mentre lo crea così come lo ha concepito. Infatti, una prima parziale risposta viene proprio da questo, che è poi l’argomento base di Tommaso d’Aquino: un Dio, quindi, che non può creare in contraddizione con quanto ha voluto creare. Se l’uomo è concepito libero, non può essere contestualmente anche schiavo. E dunque, forse il carattere fondamentale è proprio la “logica” di Dio e della creazione, che non può essere sacrificata nemmeno da Epicuro. Il cattolico e il credente sanno che Dio non può contraddire ciò che sta volendo nell’attimo creativo, ma dall’altra parte l’epicureo non può che fare riferimento alla natura logica della creazione come parametro per dimostrare l’illogicità dell’onnipotenza di Dio se messa in relazione con l’esistenza del male. Ma è proprio qui che sembra annidarsi l’errore, perché anche l’epicureo finisce per usare la logica aristotelica come parametro di giudizio della creazione, dimenticandosene quando si tratta di capire se la “fonte primaria della logica”, che è Dio stesso, può non servirsene durante l’atto creativo. Insomma, una tematica complessa, certamente, che attraversa i secoli, ma che è inquinata irrimediabilmente dal confuso modo di procedere di certi filosofi, i quali non riescono ad avvalersi in modo logico della logica.

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