sabato 3 maggio 2014

Vita o anche natura: l’essere umano tra finalismo e realtà attuale, tra essere ed essere “buono”




Una riflessione seria sull’essere umano prende spunto dal fatto che l’uomo, a differenza di qualunque altra creatura, sembra caratterizzato da un certo finalismo. La problematica della soglia umana (nel corso dell’evoluzione il momento esatto in cui si verifica un salto qualitativo per cui possiamo parlare di uomo) ne è la testimonianza (Uomo, Identità biologica e culturale, Fiorenzo Facchini): a quando fissare questo momento? Il finalismo e l’intelletto finalizzato dell’essere umano sembra presente in molte creature, ma mai a quel livello. Le esperienze di pre-morte garantiscono l’esistenza di una dimensione di coscienza superiore ed eterna. Ora, a fronte di tutto questo, la domanda che sorge spontanea è: perché l’uomo è l’unica creatura dotata di salto qualitativo? In altri articoli si è già detto che il concetto di “bene”, dall’ottica dell’uomo, non è altro che una definizione dell’essere non come mero sussistere, ma come un essere “qualificato”. In buona sostanza, l’uomo non solo “è” e quindi “esiste” qui ed ora, ma esiste per un fine buono e questa “bontà” è inspiegabile sia che sussista sia che sia la misura dell’uomo, a meno che non si parta dall’idea che l’uomo appunto è buono e quindi questa bontà sia increata e innata e costituisca la sua stessa natura. Ma a questo punto, se le altre creature non mostrano questa caratteristica, è evidente che il parametro di questa esistenza “buona” deve essere esterno all’essere umano e appartenere al trascendente. Alcuni grandi pensatori riecheggiano questo argomento. Secondo Pascal, l’uomo cerca sempre la felicità. Ora, a prescindere da cosa sia la felicità, resta inteso che essa è “positiva” e quindi “buona”. Nell’antico mondo giudaico, Dio apparteneva necessariamente alla dimensione della vita umana e con Lui si facevano i conti. Ma perché? Non tutte le creature lo fanno. Secondo Tommaso d’Aquino, ogni ente è buono (bonum est omne ens). Partendo dall’esperienza terrena, laddove noi individuiamo un essere, un’esistenza creaturale o anche non creaturale, solo nel caso di esseri intelligenti si pone altresì il problema dell’essere moralmente connotato. In altre parole, per un leone che uccide la gazzella, per quanto in modo astuto lo faccia, non si porrà il problema dell’essere “buono” del leone, ma solo della sua sopravvivenza. Nel discorso umano le cose cambiano perché l’uomo può “riflettere” su questa bontà, per cui è evidente che l’essere “buono” è collegato al poter pensare “bene” di qualcosa. Con questi piccolissimi e parziali spunti lanciamo l’argomento fondamentale dell’esistere, cioè la bontà morale intesa come carattere indelebile dell’essere.

Per approfondire: L'uomo e la soglia umana

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