Una riflessione seria sull’essere
umano prende spunto dal fatto che l’uomo, a differenza di qualunque altra
creatura, sembra caratterizzato da un certo finalismo. La problematica della
soglia umana (nel corso dell’evoluzione il momento esatto in cui si verifica un
salto qualitativo per cui possiamo parlare di uomo) ne è la testimonianza (Uomo, Identità biologica e culturale,
Fiorenzo Facchini): a quando fissare questo momento? Il finalismo e l’intelletto
finalizzato dell’essere umano sembra presente in molte creature, ma mai a quel
livello. Le esperienze di pre-morte garantiscono l’esistenza di una dimensione
di coscienza superiore ed eterna. Ora, a fronte di tutto questo, la domanda che
sorge spontanea è: perché l’uomo è l’unica creatura dotata di salto
qualitativo? In altri articoli si è già detto che il concetto di “bene”, dall’ottica
dell’uomo, non è altro che una definizione dell’essere non come mero sussistere,
ma come un essere “qualificato”. In buona sostanza, l’uomo non solo “è” e
quindi “esiste” qui ed ora, ma esiste per un fine buono e questa “bontà” è
inspiegabile sia che sussista sia che sia la misura dell’uomo, a meno che non
si parta dall’idea che l’uomo appunto è buono e quindi questa bontà sia
increata e innata e costituisca la sua stessa natura. Ma a questo punto, se le
altre creature non mostrano questa caratteristica, è evidente che il parametro
di questa esistenza “buona” deve essere esterno all’essere umano e appartenere
al trascendente. Alcuni grandi pensatori riecheggiano questo argomento. Secondo
Pascal, l’uomo cerca sempre la felicità. Ora, a prescindere da cosa sia la
felicità, resta inteso che essa è “positiva” e quindi “buona”. Nell’antico
mondo giudaico, Dio apparteneva necessariamente alla dimensione della vita
umana e con Lui si facevano i conti. Ma perché? Non tutte le creature lo fanno.
Secondo Tommaso d’Aquino, ogni ente è buono (bonum est omne ens). Partendo dall’esperienza
terrena, laddove noi individuiamo un essere, un’esistenza creaturale o anche
non creaturale, solo nel caso di esseri intelligenti si pone altresì il
problema dell’essere moralmente connotato. In altre parole, per un leone che
uccide la gazzella, per quanto in modo astuto lo faccia, non si porrà il
problema dell’essere “buono” del leone, ma solo della sua sopravvivenza. Nel
discorso umano le cose cambiano perché l’uomo può “riflettere” su questa bontà,
per cui è evidente che l’essere “buono” è collegato al poter pensare “bene” di
qualcosa. Con questi piccolissimi e parziali spunti lanciamo l’argomento
fondamentale dell’esistere, cioè la bontà morale intesa come carattere
indelebile dell’essere.
Per approfondire: L'uomo e la soglia umana
Per approfondire: L'uomo e la soglia umana
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